Come si fa a insegnare il gioco del calcio a chi non l’ha dentro?

Cosi, dopo un paio di commenti stupidi, è saltata fuori questa domanda. Sembra banale ma non lo è.
Andrea Bonani commentando il video che ho postato sabato sui social (in particolare su facebook) ha commentato: “paolone….il misterone mi piace molto anche se proporre esercizi è semplice…ti faccio una domanda….come si fa a insegnare il gioco del calcio a chi non l’ha dentro?”
Andrea è un “vecchio“. Uno che il calcio ce l’ha dentro. Uno che il calcio lo giocava anche con la pallina fatta a mano con il nastro adesivo. E’ anche uno che il calcio l’ha giocato facendo tutte le giovanili del Parma da protagonista.
La nostra generazione (anche se Andrea è un ragazzino rispetto al sottoscritto) ha passato ore ed ore a giocare a calcio in tutti i modi possibili soprattutto in contesti informali (cioè senza allenamenti strutturati, allenatori, divise) nei parchi, per strada per i più fortunati, nel cortile.
Adesso Andrea è dall’altra parte. Fa l’allenatore. Essendo uno della vecchia guardia ma con le idee chiare d’impatto non risulta simpatico per il suo aspetto burbero e nemmeno amichevole, ma i ragazzi finiscono per comprenderlo ed apprezzarlo.
Forse perché Andrea è uno di quegli allenatori che il gesto tecnico te lo sa fare e l’esempio, l’imitazione per chi deve apprendere, è fondamentale.
E’ ovvio che questo non basta, altrimenti sarebbe troppo semplice rispondere alla sua domanda: “si ingaggia un ex calciatore e tutti contenti!”.
L’allenatore deve tenere presente anche l’aspetto psicologico e motivazionale di ogni ragazzo come quello di tutto il gruppo e delle interazioni tra i vari elementi del gruppo prima di proporre una qualsiasi esercitazione individuale o di gruppo appunto.
Ma anche facendo bene sia la parte tecnica, le dinamiche di gruppo e la parte psicologica ancora non basta per rispondere alla domanda.
Per farla corta in modo sbrigativo sul social ho risposto così:
“seriamente ti risponderei cosi. PENSO CHE IL CALCIO NON SI POSSA INSEGNARE.
Prima di tutto c‘è il talento del ragazzo e la curiosità e la predisposizione che manifesta nei confronti del calcio e dello sport in generale.”
Poi noi come allenatori, dirigenti, medici, preparatori atletici, presidenti, direttori sportivi abbiamo il dovere di creare le condizioni per cui il ragazzo sia tranquillo e libero di sperimentare da solo e con i compagni tutte le proposte che gli facciamo e tutto quello che gli viene in mente.
Alla fine il numero delle ore che passerà a giocare e a fare allenamento faranno la differenza.
Perché altrimenti tutti i ragazzi che abbiamo a disposizione “imparerebbero il calcio” invece lo impara solo chi si mette in gioco e si sperimenta. Noi non insegniamo il calcio, noi possiamo trasmettere una passione, LA NOSTRA PASSIONE.
Sicuramente se le condizioni appena descritte sono state create tutti i ragazzi possono migliorare ma devono avere di fondo tanta motivazione e curiosità di provare , riprovare e riprovare ancora.
Se alleni la categoria esordienti ti diverti molto perché i miglioramenti li vedi dopo ogni allenamento. E’ l’età in cui sperimentano in modo naturale tante cose, non solo il calcio, e se trovano un ambiente sano e un allenatore come “Dio comanda” allora imparare calcio si può. A parità di condizioni in altre categorie non è detto che i miglioramenti siano cosi evidenti soprattutto per l’età dei partecipanti.
Quindi, concludendo senza l’arroganza di essere stato esaustivo e consapevole che questo è un tema “filosofico” sintetizzerei rispondendo che ci vuole tanta passione, tanta professionalità e soprattutto tanta tanta tanta umiltà per mettersi allo stesso livello dei ragazzi pur essendo ad un livello superiore.
Solo così si capiranno le reali necessità e le aspettative di ogni ragazzo e si troveranno le modalità per fargli capire cosa deve fare, perché deve farlo e soprattutto facendolo divertire mentre lo fa.
Perché l’importante è giocare, anzi, divertirsi giocando perché il calcio è GIOIA.
Nel calcio, come tutti gli altri sport di quadra solo se un ragazzo gioca può imparare che si può vincere e che si può anche perdere. E che la prossima volta può arrivare una vittoria ma può ripresentarsi ancora una sconfitta, ma non per questo bisogna cambiare gioco o compagni.
Si cresce tutti insieme e quando da adulto il gioco si è trasformato in “sport giocato” le regole sono sempre le stesse di prima: aggressività e non aggressione, competizione e non battaglia.
E se c’è questa educazione allo sport, in primis dall’allenatore ma non solo, il calcio può diventare per l’individuo adulto, il principale antidoto contro lo stress, e non, come spesso purtroppo accade, la fonte maggiore dello stress stesso.
Ma ci vuole Passione.
Perché non si deve mai dare niente per scontato. Dopo ogni allenamento compilando la scheda di valutazione bisogna sempre mettersi in discussione, approfondendo giorno dopo giorno le proprie conoscenze e competenze e a volte è dura (e non per il tempo che manca).
Allora Andrea, soddisfatto? mi hai messo alla prova ma lo sai che io la faccia ce la metto sempre ma soprattutto…ma chi ce l’ha fatto fare di fare l’allenatore?
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