La storia di Clementina
Video di Fanpage.it: https://youtu.be/rmGWKsJOnns
«È cominciato tutto il 10 ottobre – racconta Alessandro Abba Legnazzi, il papà di Clementina -. Mia figlia si è presentata insieme al suo cuginetto di sei anni e a mia sorella alla segreteria della Pavoniana, una storica società calcistica bresciana. Voleva provare ad allenarsi ma le è stato detto che le bambine non erano ammesse. È tornata a casa arrabbiata a delusa. “Perché non mi fanno giocare?” mi ha chiesto. Ho richiamato la sera stessa e mi hanno invitato a cercarmi un’altra squadra».
Il signor Abba, che di lavoro fa il regista di documentari ma anche l’insegnante, ha pensato che la questione meritasse un approfondimento pedagogico. «Ero in dovere di spiegare a mia figlia che di fronte a un’ingiustizia non bisogna voltare le spalle» prosegue. Il giorno dopo ha chiesto un appuntamento con il presidente del gruppo sportivo, immaginando che forse in segreteria c’era stato un problema di comunicazione. «Invece mi ha ribadito che una bambina avrebbe causato difficoltà organizzative». Ma come? L’Italia non era il Paese in cui 21 milioni di telespettatori hanno assistito ai Mondiali femminili del 2019 preferendo le azzurre agli azzurrini dell’Under 21, quello in cui le atlete tesserate alla Figc sono cresciute del 66% in dieci anni, quello in cui il calcio femminile è un veicolo di «modernità» e «spirito di squadra»?
La vicenda di Clementina, finita prima di Natale in un video di Fanpage.it, negli ultimi giorni ha suscitato molte reazioni di solidarietà e vicinanza: la bomber della Juve e della Nazionale Cristiana Girelli ha voluto incontrarla di persona per regalarle una sua maglia autografata e per invitarla a «non smettere di seguire i suoi sogni e a essere sempre se stessa».
Anche la squadra femminile del Brescia si è fatta avanti per accogliere Clementina fra le sue atlete e ieri sera i dirigenti hanno incontrato la bambina e la sua famiglia. «Ci siamo visti ma non c’è alcuna fretta, sarà mia figlia a decidere se e quando vorrà provare a giocare. Sta facendo karate e le piace molto anche quello».
So di vivere nelle favole, ma il pesante scivolone della Società Pavoniana forse si sarebbe potuto evitare se esistesse cooperazione e una rete di scambio di informazioni tra Società.
Sarebbe molto bello se società che non hanno la possibilità o volontà di tenere un vivaio femminile si mettessero a disposizione per reindirizzare genitori e giocatrici verso società che invece gestiscono squadre femminili, ma a cui mancano sempre degli elementi per completare la rosa. Questo però implica un passaggio di maturità in cui le società smettono di vedersi come singole, ma riescono ad identificarsi come parte di un sistema.
Personalmente penso che le bambine debbono giocare con le bambine e che tutto il resto possa esistere solo come necessario compromesso dovuto a tempo, distanza o denaro.