Calcio femminile verso il professionismo?

Scambio culturale con l’Argentina
L’altro giorno mi ha chiamato Yamila dell’associazione argentina Género, Deporte y Comunicación , che si occupa di parlare della parità di genere nello sport in Argentina, chiedendomi chiarimenti sul fatto che il calcio femminile in Italia fosse diventato sport professionistico.
Ho risposto che la situazione è un po’ diversa. ..
Durante l’intervista ho potuto constatare che, nonostante le nostre nazioni siano separate dall’Atlantico, il mondo del calcio femminile vive le stesse dinamiche in entrambi i paesi. Prendo a testimonianza di questo fatto l’intervista a Macarena Sánchez (la prima calciatrice professionista in Argentina):
In Argentina, solo poche giocatrici possono ottenere un contratto professionistico nei club più importanti, ma per la quasi totalità delle ragazze il calcio rimane uno sport amatoriale. Macarena in prima persona si batterà perché le donne possano avere un posto da professioniste sia come giocatrici che come dirigenti.

cosa è successo prima delle vacanze di Natale?
In Italia, il governo ha intenzione di pagare i contributi per stipendi (tetto massimo 30.000 euro lordi annui) per tutte quelle giocatrici a cui verrà sottoscritto un contratto da professionista.
Non si parla però di salario minimo.
Giusto per fare un paragone, la cifra sopra citata è molto simile al salario minimo previsto per un calciatore professionista maschio over 24.
Purtroppo questa legge genera più caos che possibilità concrete, in quanto il passaggio al professionismo per il calcio femminile viene demandato alla Federazione, la quale per ora non è intenzionata a cambiare nulla e di conseguenza lascia totale libertà ai club di sottoscrivere dei contratti a propria discrezione.
Al momento quindi il rischio è che vi siano grandi disparità di trattamento tra una giocatrice e l’altra, se non si definiscono regole sull’equità di trattamento.
Una cosa che vorrei che fosse chiara, però, è che come ordine di grandezza il budget annuale di tante società delle serie inferiori regionali si avvicina allo stipendio di una singola giocatrice di questo livello.
Solo una piccolissima percentuale di società è quindi interessata realmente a questo discorso.
A mio parere, il professionismo, oltre che alle giocatrici andrebbe ampliato all’intero staff cercando di eliminare il lavoro precario.
Ovviamente poi è importante salvaguardare la dignità del lavoro svolto anche dalle squadre che vogliono rimanere dilettantistiche, che sono spesso il trampolino di lancio per tutte quelle giocatrici che hanno avuto uno sviluppo sportivo “lento” e che sarebbero state scartate dalle squadre più blasonate.
L’interesse ad avere un calcio dilettantistico di alto livello si ripercuote sicuramente anche sulle squadre di Serie A, che in caso di bisogno possono andare a pescare giocatrici già “pronte” anche dalle serie minori.
Il professionismo deve poter tener conto anche di un ciclo continuo di risorse.
cosa significa essere calciatrice?
Essere giocatrice richiede molta più fatica rispetto ad un maschio in termini di accessibilità. Come dice Sara Gama è bello raggiungere dei risultati dopo aver speso tempo, impegno e sacrificio. Nella maggior parte dei casi, però, terminata l’università le ragazze non si possono più permettere di giocare a certi livelli perché per poter vivere devono andare a lavorare. A testimonianza riporto la video intervista di Giulia Orlandi.
Sono sicuro che le brave atlete vadano sostenute e che gli si possa costruire una possibilità sia dentro che oltre lo sport, ma allo stesso tempo resto convinto che lo sviluppo del calcio femminile debba proseguire dal basso in maniera consistente per permettere all’eccellenza di godere di maggiore forza trainante!
Per restare aggiornati sullo sviluppo dello sport femminile consiglio di seguire la pagina facebook dell’associazione Tutti in campo per tutte, sempre aggiornata sulle ultime novità.
spunti di riflessione
Personalmente credo che il professionismo non si misuri con lo stipendio delle atlete, quanto con il tipo di opportunità che una squadra riesce a creare, cercando di sempre di migliorare.
Vi lascio con alcune domande che ho raccolto da chi sta intraprendendo la strada verso il professionismo e che mi ripropongo di approfondire alcuni aspetti nei prossimi articoli:
- Da quante persone è composto lo staff tecnico?
- Hanno un ruolo specifico (preparatore dei portieri, preparatore atletico, primo allenatore)?
- Hanno il patentino? Hanno studiato Scienze Motorie?
- Sono in grado di adattare gli allenamenti tecnici alle esigenze fisiche dei singoli giocatori (ed in base alla condizione attuale) al fine di prevenire infortuni?
- Hanno fatto corsi da educatori o di coaching?
- Esiste la figura dello psicologo? Come rispondono gli atleti allo stress?
- Da quante persone è composto lo staff medico? Quanti fisioterapisti o massaggiatori? Quando sono presenti?
- Gli allenatori delle giovanili hanno le stesse competenze degli allenatori della prima squadra? Hanno competenze specifiche per adattare gli allenamenti alla loro età?
- Il carico di lavoro sugli atleti è adeguato?
- Sono persone in grado di educare al rispetto dei compagni, degli avversari, dei direttori di gara e dei luoghi dove si pratica lo sport? Anche se la voce più autorevole in capitolo è quella dei genitori, che spesso rovinano tutto dicendo “chi ha vinto?Quanti gol?”