Sport e gioco con la comunità Betania: 40 anni e non sentirli!!!

In occasione della Giornata mondiale contro la droga riporto un articolo sull’importanza dello sport e del gioco nelle comunità di recupero per tossicodipendenti che mi hanno chiesto di scrivere per l’anniversario dei 40 anni della comunità Betania di Parma. Una famiglia a cui sono legato in maniera particolare da tanti anni.
Giocare per essere felici
Per tutto il giorno avevo continuato a carteggiare finestre in falegnameria con Piero a dirmi, ogni volta che mi prendevo una pausa, che prima di tutto dovevo “mettere la testa a posto” (perché questo è quello che succede durante il giorno in comunità. Imparare un lavoro e riappropriarsi della propria identità).
Poi allo scadere del orario lavorativo, Giorgio, un ragazzo romagnolo dal sorriso simpatico, venne verso di me e mi chiese se avevo voglia di andare a giocare a calcio.
Di fianco alla comunità c’è un bel impianto con tanti campi (ora anche uno in sintetico) e in pochissimo tempo ci ritrovammo in una partita 7 contro 7 da giocare come se fosse la finale della Champions. Non c’era divisione tra operatori e ragazzi ospiti della comunità né regole imposte da rispettare se non quelle comuni di ogni partita di calcio pienamente condivise da tutti.
Per la cronaca la partita fini 5 a 4 per la mia squadra con una più che discreta prestazione del sottoscritto tanto da meritarmi la fiducia di due ragazzi, Franco e Gianfranco, romagnoli anche loro, che con il pallone ci sapevano davvero fare.
Seduti sotto il portico bevendo un succo di frutta, Gianfranco mi disse che nei momenti della sua vita in cui si era dedicato allo sport riusciva a tenere un buon stile di vita.
Giocando era invogliato a curare l’alimentazione e tutto quello che avrebbe contribuito a farlo migliorare sempre di più sia come calciatore che come persona.
Per questo si lamentava di come fosse poco, in comunità, fare allenamento solo una volta alla settimana ma era anche cosciente che “fuori”, con tutto il tempo libero che aveva, per molti anni aveva fatto l’esatto contrario di favorire la sua salute e allora, con una gran risata diceva che andava bene così.
Nella sua semplicità Gianfranco aveva individuato un aspetto fondamentale e cioè che lo sport aiuta chi ha avuto problemi di droghe perché durante l’esercizio fisico il nostro corpo produce endorfina che provoca una sensazione di euforia ed è lo stesso ormone che viene stimolato con l’assunzione di sostanze stupefacenti.
L’attività fisica risulta quindi fondamentale anche per riprendere una corretta attività cardiovascolare aiutando a riparare i danni causati ai muscoli e favorendo l’organismo a recuperare più rapidamente dalle complicazioni legate all’uso di droga.
Certo lo sport può essere solo uno strumento in questa lotta ma è sicuramente un aspetto molto importante in ogni percorso terapeutico e fondamentale come strategia di prevenzione.
In quest’ottica fin dai primi anni 90 come comunità Betania abbiamo contribuito a creare e sviluppare tra le varie comunità del CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza il torneo di calcio come pratica sportiva per favorire la conoscenza e lo scambio di esperienze fra i diversi gruppi del Cnca e sviluppare una sana capacità di competizione in un’ottica di cura e prevenzione.
Rimaste nelle memoria storica ma indelebili le trasferte ad Ascoli contro la comunità Ama Aquilone e a Fermo nella comunità di Capodarco per il tifo entusiasta e rumorosamente tipico delle Marche. Vere battaglie sul campo ma animate e divertenti feste nel terzo tempo.
Sane occasioni di scambio e confronto tra ragazzi e operatori che vivevano la realtà della comunità con percorsi terapeutici simili ma con una propria identità specifica (vero valore aggiunto del appartenere al CNCA).
In preparazione del torneo per tutto l’anno pianificavamo in comunità partitelle fra di noi e allenamenti strutturati seguiti da mister competenti.
Don Luigi in comunità è sempre stato molto attento a questo aspetto e spesso riusciva a coinvolgere persone di primo piano ad allenare i ragazzi come Renzo Ulivieri (attuale presidente dell’Associazione Italiana Allenatori calcio) e Giovanni Bia (ex calciatore ed ora procuratore sportivo).
Allenamenti che diventavano momenti importantissimi di calcio e non solo.
Ricordo, come se fosse ieri, quando Renzo Ulivieri venne a svolgere il primo allenamento con i ragazzi e portò a tutti dei giornali.
I ragazzi un po’ spiazzati (si aspettavano chissà che esercitazioni complicate con il pallone) chiesero cosa dovessero farci e il mister disse loro che dovevano scegliere all’interno del giornale un articolo a piacere che poi avremmo commentato tutti insieme.
I ragazzi non osarono certo mettere in discussione un mister del valore di Ulivieri che allora allenava il Parma in serie A e si misero in gioco cercando gli articoli.
Al momento della loro esposizione ci furono quelli che ridendo avevano scelto un trafiletto di 5 righe perché “mister se sapevo leggere il sole 24 ore non stavo in comunità” a quelli invece che avevano scelto articoli sui vari bisogni del mondo mentre altri ancora commentarono alcuni articoli dei paesi di appartenenza o di adozione.
Ascoltati con attenzione tutti i ragazzi il mister, che non li aveva mai visti prima, commentando a sua volta gli articoli scelti e interagendo con i ragazzi aveva individuato ruoli, personalità e possibilità di coinvolgimento a diversi livelli di responsabilità da tenere durante l’allenamento per ognuno dei ragazzi presenti.
E’ stato un momento molto emozionante che mi porto dentro come fosse “oro” ancora oggi nel mio essere allenatore di adulti e ragazzi perché quella persona prima di essere mister era un educatore che riusciva a leggerti dentro senza giudicarti, si metteva in gioco per fare in modo di migliorare la tua situazione e la strategia che utilizzò sempre in ogni allenamento fu quella di coinvolgere e coniugare assieme la forza che nasce delle relazioni umane.
Fare sport è quindi importantissimo cosi come lo diventa chi ti guida a farlo. Istruttore, mister, allenatore sono tutti termini utilizzati a vario titolo per definire una persona che deve svolgere un compito essenziale nella vita dei ragazzi e degli adulti che segue: educare.
Educare allo sport, educare alla vita perché il ruolo del mister è di rilevante importanza nella crescita e per il futuro dei ragazzi e nell’accompagnare gli adulti.
In comunità come educatori, in particolare, si tenta di gestire attraverso lo sport inteso come gioco soprattutto il coinvolgimento di emozioni che una persona vive durante una partita o da una qualunque competizione, elaborando situazioni, emozioni, stati d’animo e fornendo strumenti per ridurre stress, ansia, rabbia ma anche per rafforzare l’autostima.
E’ con questo spirito che qualche anno più tardi in una riunione del CNCA dell’Emilia Romagna di cui ero segretario, don Luigi insieme a Teresa Marzocchi, allora responsabile della comunità LA RUPE e Padre Bruno responsabile della comunità LA SORGENTE si fecero promotori delle OLIMPIADI DELLE COMUNITÀ.
Una giornata di sport a Sasso Marconi in un percorso che affiancava il consueto torneo di calcio già esistente tra le varie comunità diventando cosi un’occasione speciale per divertirsi e “fare comunità”.
Una manifestazione sportiva pensata per tutti ed alla portata di tutti. Accanto alle classiche discipline di atletica leggera – staffetta, mezzofondo, corsa veloce, salto in alto, salto in lungo, getto del peso – vennero organizzate buffe e coinvolgenti prove “diversamente atletiche” per chi non se la sentiva di affrontare le specialità agonistiche.
Gli “aspiranti” atleti, ragazzi, ragazze, operatori e volontari tentano di mettersi alla prova, confrontandosi con la fatica e l’impegno necessari al raggiungimento del proprio traguardo personale.
Ricordo con piacere “la corsa sulle ali del vento” di Massimo o il peso scagliato ad un’incredibile distanza di 18 metri abbondanti tra lo stupore generale (anche degli addetti ai lavori) da Giovanni che non voleva neanche partecipare.
La logica che ci stava dietro all’attesa delle gare è quella che ognuno punta a fare del suo meglio (non ad essere il migliore).
Spesso il risultato più importante diventava la sorpresa di avercela fatta ad arrivare fino in fondo senza rinunciare.
La giornata delle olimpiadi è diventata così negli anni un momento prezioso per ritrovarsi “in intimità” con se stessi ed il proprio corpo.
Imparare l’arte del correre e del gareggiare nel rispetto di tempi ed obiettivi possibili, stando dunque fuori dalle inutili e frenetiche rincorse quotidiane.
A conclusione dei vari percorsi sportivi appena prima dell’estate in occasione della giornata mondiale contro la droga si svolge da tantissimi anni a Marore presso la sede della comunità Betania l’annuale festa delle comunità dell’Emilia Romagna e non solo (tra le storiche La Rupe, il Quadrifoglio, La Sorgente, Papa Giovanni, la Lag, Nefesh, il Piolo e tante altre).
La giornata ha una programmazione stabile, rodata dalle varie edizioni e scorre sempre veloce tra l’arrivo dei vari gruppi, l’incontro in salone con i giovani (particolarmente seguito era stato quello tenuto da Giovanni Bia sul rapporto tra droga e mondo dello sport), la santa Messa ed il pranzo sotto il tendone.
Al pomeriggio in pieno spirito goliardico i vari giochi (calcio saponato, toro meccanico, tiro alla fune, ecc) che coinvolgono tutti alimentando il clima di festa e naturalmente, verso sera, le finali del torneo di pallavolo e di calcio tra le finaliste delle eliminatorie dei mesi precedenti.
Sempre vivace ed energico il tifo, su e giù dagli spalti. Le grida festose chiamano per nome i protagonisti delle diverse gare e, soprattutto, in modo corale, sostengono quel cambiamento che, nello sport trova spazi privilegiati per il benessere della persona “intera” in un contesto bello, armonioso e soprattutto di auto – aiuto.
Una giornata di sport e gioco vissuta pienamente fino alla cena con le consuete premiazioni per i vincitori e tutti i partecipanti vissuta alla fine di un percorso dove si respira un gareggiare animato dal piacere di stare insieme e divertirsi, dal desiderio d’incontrarsi e, nella condivisione di una giornata davvero intensa e partecipata, a confermare il proprio “essere parte” di una comunità, della rete CNCA, del territorio.
Ringrazio Don Luigi e Andrea per l’opportunità di aver rivissuto attraverso la stesura di questo articolo sullo sport e sul gioco in comunità, 34 (un po’ da vicino e un po’ da lontano) dei 40 anni che la comunità oggi festeggia con l’entusiasmo, la passione, la capacità di donarsi che da sempre l’hanno caratterizzata.
Beppe, non solo lo psicologo della comunità ma un vero e proprio amico anni fa era solito dire “Ricordatevi, basta poco per essere felici”.
Non esistono ricette su come essere felici ma l’impegno che tutti dobbiamo intraprendere di portare le persone a capire cosa succede aiuta poi ad essere in armonia con se stessi, utilizzando i sentimenti di disagio come l’occasione per fare una scelta che conduca alla crescita personale piuttosto che alla scelta dettata dalla paura di vivere.
Allora riscoprire il valore del gioco e imparare a giocare ricomponendo semplicemente il mosaico che i giorni della vita ci hanno posto davanti giorno per giorno diventa la ricetta migliore.
Sempre l’amico Beppe SIvelli terminò un suo articolo con questa frase di Victor Frank: “La felicità è come una farfalla, più la insegui più ti sfugge ma se rivolgi la tua attenzione ad altre cose, si poggia delicatamente sulla tua spalla”.
Una frase semplice, quasi un gioco, da tenere nel cuore.
Questi argomenti sono in continua evoluzione e sviluppo.
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