Il rapporto genitori e allenatore

In questo periodo che seguo tante partite a bordo campo riprendo un argomento mai scontato come quello del rapporto genitori e allenatore.
Quattro piccole premesse
La foto che ho scelto di un tifoso che mangia la bandiera dopo la sconfitta del Brasile è per rappresentare che trovare genitori contenti a fine partita è sempre più difficile. Non si vive serenamente, probabilmente non solo il calcio.
Tutti gli allenatori sono differenti e anche i genitori lo sono.
Sono un allenatore da 26 anni metà dei quali passati con i settori giovanili di varie società e spesso ho vissuto in prima persona rapporti più o meno privilegiati con vari genitori.
Ho anche 3 figli di 19, 17 e 16 anni che ho sempre seguito e tuttora cerco di seguire da genitore (compatibilmente con i miei impegni) sulle tribune dei vari campi da calcio visto che sono in 3 società diverse e spesso vivo emozioni alterne dovute alla gestione dei miei figli e dei ragazzi in generale.
Il ruolo dell’allenatore
L’allenatore riveste un ruolo fondamentale nella crescita sportiva e personale dei ragazzi. Indipendentemente dall’essere un professionista o un dilettante perché si possa svolgere al meglio il proprio ruolo non si deve trascurare la propria relazione con i genitori dei ragazzi.
Creare le condizioni per creare una relazione positiva e costruttiva con la famiglia dei ragazzi è fondamentale.
Al giorno d’oggi le società sportive sono tra le poche agenzie educative che il territorio possa offrire. L’allenatore, quindi, diventa un punto di riferimento sia per gli atleti che per le famiglie stesse.
In questo delicato rapporto allenatore, ragazzo, genitore bisogna sempre ricordarsi di non allearsi con il genitore a scapito del ragazzo e allo stesso tempo non allearsi con il ragazzo a discapito della famiglia soprattutto quando si lavora con ragazzi adolescenti.
Il dialogo tra allenatore e genitori è quindi importantissimo quando è costruttivo ed improntato sui reali bisogni del ragazzo: non esiste soltanto il calcio (e meno male?!) e trovare occasioni di confronto può essere utile a tutti, soprattutto per la crescita del ragazzo.
Il genitore e le proprie aspettative
Nella storia calcistica della mia generazione i genitori (i papà soprattutto) non venivano quasi mai a vedere la partite dei ragazzi. Mi ricordo di aver visto solo un paio di volte mio padre e una di queste perché c’era bisogno per una trasferta lontano dal campo di casa.
Spesso andavamo al campo a piedi o in bicicletta e alle partite mio papà (perché mia mamma non aveva la patente) si limitava ad accompagnarmi al campo per poi venirmi a riprendere a partita finita.
Non per questo io mi sono mai sentito abbandonato perché ho sempre avuto la piena convinzione che se ci fosse stato qualche problema serio, mi avrebbero aiutato a risolverlo.
Oggi invece vedo papà e mamme sempre presenti ma che analizzano tutto come se fosse un problema. Dal ruolo in campo o addirittura al numero della maglia, se gioca titolare/riserva o rispetto ai minuti giocati.
Da allenatore, ad esempio, ho sempre tenuto traccia di tutti i minuti giocati in relazione alle presenze alle partite di tutti i miei atleti.
Sia con i genitori nelle giovanili ma anche con i giocatori adulti in prima squadra ho, qualche volta, dovuto tirare fuori questi resoconti di fronte ad una lamentela sul fatto che la persona interessata non giocava titolare o giocava poco per far vedere esattamente la realtà della situazione perché spesso chi ti attacca su quanto gioca non ha chiaro tante cose e il perché delle scelte fatte (presenze all’allenamento, rispetto degli orari, impegno all’allenamento, ecc…).
Spesso poi per far recuperare qualcuno che giocava meno perché non era venuto ad allenamento o per altri motivi ho organizzato amichevoli per dargli comunque gamba e testa in linea con quanto programmato.
La figura del dirigente accompagnatore
E’ una figura fondamentale per evitare (o per tutelare) che l’allenatore resti solo nelle sue decisioni e che debba affrontare senza confronti tutte le situazioni che succedono.
In una società professionistica se l’allenatore è in linea con obiettivi e filosofia dei responsabili della società di norma sarà “protetto” dai dirigenti in caso di rimostranze genitoriali.
In una società dilettantistica invece può succedere di tutto. Il rischio di “perdere” un tesserato perché i genitori non accettano che il proprio campioncino giochi meno o che ricopra un ruolo non consono è grande e il mister diventa il parafulmine.
Spesso poi, il dirigente accompagnatore, per necessità, è un genitore che ricopre il ruolo di dirigente ed è difficile che riesca ad espletare i suoi compiti di ammortizzatore tra genitori e mister, tra genitori e società, a volte tra anche tra mister e società perché troppo coinvolto.
L’allenatore cosa deve fare?
L’allenatore è un punto di riferimento nel contesto sociale. Chi lo fa sceglie di farlo e non deve sottovalutare questo aspetto al pari della tecnica e della tattica che dovranno essere le sue competenze sul campo.
Gestire le dinamiche di gruppo e fare da riferimento verso coloro che “educa” o che accompagna in un percorso (nel caso degli adulti) è un suo preciso dovere sia in ambito professionistico che dilettantistico.
L’allenatore può contare soprattutto sul suo comportamento fondato su un atteggiamento di apertura e di rispetto dell’altro.
Un atteggiamento di apertura vuol dire confrontarsi e accettare che le persone possano avere un punto di vista differente (perché sempre di punti di vista si tratta) e rispondere alle loro domande, anche se queste ultime possono sembrare ingenue o poste in maniera interessata.
Se un allenatore ha chiara la sua programmazione e gli obiettivi a breve, medio e lungo termine non si tratta di rimettere in dubbio la sua competenza ma diventa una occasione per migliorare il percorso coinvolgendosi e confrontandosi con tutti quelli che lo riterranno opportuno.
E’ ovvio che un allenatore che accetta il confronto è una persona che è trasparente nelle sue scelte. Non vedo altro modo per prevenire e per gestire eventuali confronti con i genitori. Se viene a mancare questo allora è meglio scegliere di fare dell’altro!
Penso anche che sia fondamentale metterci la faccia cioè porsi in un contesto in cui il genitore o l’atleta che espone la lamentela ti guardi in faccia perché può ridurre il rischio di male interpretazioni o addirittura di un conflitto successivo.
Certo non è sempre facile in particolare di fronte a persone che comunicano senza regole di “buona educazione” o che hanno secondi fini ma il cercare delle soluzioni e non dei colpevoli, non parlare delle persone ma dei problemi e l’evitare di ribattere “parola per parola” ma ragionare su ciò che l’altro ha voluto dire sono principi fondamentali di buon senso e di intento di risolvere il problema.
Questi argomenti sono in continua evoluzione e sviluppo.
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