L’arbitro ha sempre ragione? – seconda puntata…

Lunedì 3 ottobre ho pubblicato la prima versione di questo articolo (che riporto per intero sotto per chi non lo avesse già letto) dove evidenziavo la mancanza di comunicazione di una parte della classe arbitrale e quindi anche l’incapacità di dare spiegazioni di quanto succede in campo rispetto al loro operato.
Atteggiamento purtroppo ricorrente negli ultimi anni.
Non da tutti gli arbitri ovviamente ma come di solito succede in tutte le categorie (presidenti, allenatori, calciatori, arbitri, ecc.) quando si evidenziano questo tipo di situazioni si tende a ragionare per campi assoluti e questo mi dispiace molto per i tutti gli arbitri (e sono tanti!) che sono persone veramente competenti e che ogni tanto si ha il piacere di trovare sui campi con cui confrontarsi e svolgere la partita assieme nei rispettivi ruoli.
Oggi però sono veramente amareggiato e deluso.
Ieri sera però è uscito il comunicato con i provvedimenti disciplinari e la situazione che si è evidenziata è quasi imbarazzate.
Vengo squalificato per “Per espressioni offensive nei confronti del direttore di gara.
Chi mi conosce sa che vivo tutte le situazioni con passione e coinvolgimento ma sa anche che per me il rispetto delle persone viene prima di qualunque altra cosa. Il rispetto è un sentimento che porta a riconoscere i diritti, la dignità e la personalità nel suo intero della persona che hai davanti e che interagisce cono te.
In questi 25 anni da mister in tutte le mie esperienze di squadra ma anche di lavoro che comprendono anche il carcere e le comunità di recupero dove il rispetto non è scontato ma è una condizione da conquistare ho sempre dato tutto me stesso per andare verso questa direzione.
Ieri sera quando Matteo (mister Volpi) davanti agli spogliatoi mi ha detto della squalifica pensavo ad uno scherzo. Ho passato l’intero allenamento (scusa mister e scusate ragazzi) con il chiodo fisso di quella frase apparsa sul comunicato che non mi appartiene: “Per espressioni offensive nei confronti di…”.
Ho ripensato a quanto successo rivedendo nei miei pensieri più volte la scena e rimango amareggiato e deluso.
E’ evidente che le due versioni, la mia riportata a grandi linee nell’articolo e quella scritta dall’arbitro nel referto che ha indotto il giudice a pronunciare questa sentenza sono opposte.
Io ho insistentemente chiesto all’assistente e all’arbitro, il sig. Pietro Tassi da Finale Emilia di indicarmi quale fosse il giocatore in fuorigioco senza mai mancare di rispetto e tanto meno offendere nessuno come anche ammesso dall’arbitro all’atto della mia espulsione quando dalla panchina gli hanno detto: “Ha solo chiesto il perché del fuorigioco…”, lui ha risposto: “Si, ma l’ha chiesto 20 volte!!!”.
E non solo non mi è stata data risposta ma l’arbitro si à permesso anche di scrivere falsità e di calunniarmi in modo che hanno indotto il giudice a pronunciare la sentenza. Ovviamente sono disponibile a qualunque replica e ad ogni occasione di confronto anche se il “sistema” in questo caso è strutturato con dei vincoli insormontabili.
Purtroppo infatti non è possibile in tempi brevi accedere agli atti e nemmeno fare ricorso perché la squalifica inflitta è minore di 30 giorni. Quindi l’unica occasione di confronto è quella che il sig. Tassi replichi a questo articolo.
Non ho molte speranze che lo faccia visto il suo comportamento in campo e fuori ma mai dire mai.
Cosa dire?
Io ne esco “cornuto e mazziato” (danno e beffa ndr) e tutti quei bravi arbitri che ogni domenica si fanno in 4 per tentare di arbitrare al meglio e coscienti del loro lavoro tengono in mano la partita dando spiegazioni e parlando con gli altri protagonisti in campo continueranno a “pagare” quella sorta di pregiudizio nei loro confronti creati e amplificati da atteggiamenti di questo tipo.
Speriamo che questo mio articolo possa aprire se non altro una situazione di confronto.
Oltretutto la partita l’abbiamo pure vinta.
ARTICOLO DI LUNEDI 2 OTTOBRE
In un gioco come il calcio dove la passione e le emozioni spesso prendono il sopravvento, il compito dell’arbitro che deve tentare di far rispettare le regole con l’aiuto del mister e dei giocatori, non è affatto facile.
Certo però, che alcune scene viste spesso sui campi e (vissute in prima persona anche nella partita di ieri) in cui la terna arbitrale esercita il potere coercitivo senza spiegazione alcuna verso tutti (presidenti, mister, giocatori, magazzinieri e servizio d’ordine) per esercitare più che il rispetto della regola, la sua mania di onnipotenza non aiuta una classe arbitrale fatta per lo più da brave persone (sante subito!) che per pochi euro macinano chilometri e permettono lo svolgimento delle partite.
Venendo dal settore giovanile sono convintissimo dell’importanza di sottolineare sempre gli aspetti educativi che un allenatore deve tenere in quanto modello da seguire da parte dei ragazzi specialmente nel rapporto con l’arbitro.
Quindi da allenatore, deve esserci il rispetto per la classe arbitrale prima di tutto, senza enfatizzare l’atteggiamento negativo contro le decisioni dubbie ma cercando sempre un dialogo aperto e costruttivo con chi è chiamato a decidere e giudicare al di sopra delle parti.
Spesso poi ci si trova davanti arbitri di pochi anni più grandi dei ragazzi che stanno giocando e non si può pretendere un certo livello di autorevolezza e al contempo di capacità di giudizio adeguata. Vanno sicuramente aiutati a crescere come d’altra parte tutti noi mister.
Sono infatti tanti anche gli errori che si vedono compiere dai mister soprattutto “non di primo pelo”.
Certo è che crescendo nelle varie categorie fino agli adulti, a maggior qualità calcistica delle squadre e dei mister dovrebbe essere equiparata un maggior qualità di giudizio e mediazione da parte della classe arbitrale.
Alla richiesta del mister, ad esempio, di capire quale sia il giocatore in fuorigioco nel goal annullato per questo motivo, mi sembra che possa essere normale confrontarsi e spiegare le ragioni di tale decisione da parte della terna arbitrale.
Tecnicamente, infatti, una comunicazione efficace è fatta da domande che devono essere aperte e da risposte articolate e esaurienti che rilanciano il confronto o che soddisfino la richiesta inziale.
Quindi alla bandierina che sventola e al conseguente fischio che annulla il gola appena fatto è legittimo chiedere una domanda aperta come “Ma perché fuorigioco? Quale giocatore nell’azione era in fuorigioco?”.
Vista la capacità di giudizio in frazioni di secondo in cui si valutano diverse variabili (posizione del giocatore attaccante la porta rispetto al pallone, individuare la posizione dei due giocatori di difesa, valutare se il giocatore partecipa all’azione, capire se la posizione non è eclatante quale parte del corpo è finita in fuorigioco, ecc) mi verrebbe da pensare che ad una domanda aperta si possa rispondere da parte di qualcuno della terna arbitrale con una risposta particolareggiata nei minimi dettagli per fugare ogni dubbio.
Invece no. La risposta è: “Non te lo dico!”
Ad una domanda aperta del mister che ogni arbitro deve legittimamente aspettarsi che gli venga rivota dopo aver annullato un goal per quel motivo, la scelta dell’assistente è stata una risposta chiusa. “Non te lo dico!”
Come un bambino che continua ad essere chiuso nel suo egocentrismo anche quando la sua età dovrebbe già permettergli di provare soluzioni diverse.
E solo la mamma sa, quanta pazienza dovrà esercitare nel tempo per far capire al proprio figlio come comportarsi partendo dalle regole base del rispetto sociale.
Comunicazione efficace? No. Situazione aperta a emozioni contrastanti? SI.
E’ giusto che l’arbitro sia il solo ad avere il diritto di giudicare e che la sua autorità sia incontestabile. Ideologicamente è inattaccabile e deve essere accettato e rispettato da tutte le parti in campo e fuori.
Ma l’arbitro non è il sovrano massimo del cerchio celeste e la mancanza di confronto, la mancanza di comunicazione rende fragile la sua autorevolezza.
La prima cosa che ho pensato dentro di me (da mister) alla risposta “Non te lo dico!” è stata: “Perché non lo sai neanche tu! Hai alzato la bandierina con l’emozione e non con la ragione che ti dovrebbe contraddistinguere e a tutte quelle variabili che avresti dovuto valutare non puoi dare risposta perché ti sei fatto sopraffare dall’emozione di quel momento!”
L’abbiamo scritto all’inizio dell’articolo: il calcio è un gioco dove la passione e le emozioni spesso prendono il sopravvento non solo sui giocatori e il mister ma su tutti gli attori coinvolti, anche gli arbitri.
Un arbitro intelligente dopo aver preso una decisione sbagliata, sopraffatto dalle emozioni, avrebbe potuto ammettere l’errore o evitare di dare spiegazioni dicendo: “Mi dispiace Io l’ho vista cosi!” a seconda del clima e delle condizioni della partita in quel momento.
Invece no. “Non te lo dico!”
Allora le emozioni vanno viste anche dalla parte del mister che in quel momento non solo si sente depredato di un goal in un momento delicato della partita ma anche ingiustamente sopraffatto dalla mancanza di comunicazione che non gli permette dii “fare pace” dentro se stesso, di dare una spiegazione lucida per mettere ordine tra le varie situazioni.
Per cui continua a domandare all’infinito a tutti: “Ma quale giocatore era in fuorigioco?” entrando in una spirale di cui già conosce la fine quando non c’ il confronto.
Espulsione per proteste, senza aver offeso nessuno ma solo per aver chiesto insistentemente un proprio stato di diritto.
L’autorevolezza dell’arbitro si è sgretolata totalmente lasciando il passo all’autorità sovrana che con ammonizioni, espulsioni e quanto ha già in testa di scrivere nel referto per aumentare al massimo le squalifiche da parte della commissione giudicante (che si basa solamente su quanto ha scritto l’arbitro) provvede a sferrare colpi a desta e a manca quasi come fosse un cavaliere errante a difesa della verità e della libertà (purtroppo propria e non altrui).
Peccato! Altra occasione mancata.
Ribadisco il mio massimo rispetto alla classe arbitrale che negli anni si è evoluta e non poco.
Auspico che i corsi di aggiornamento di allenatori e arbitri venga fatto assieme per favorire questo momento di confronto e che comunicazione e psicologia vengano approfonditi non tanto come tecnica, tattica e metodologia ma quasi.
Condanno però senza pietà alcuna tutti gli arroganti che per brillare sono costretti a spegnere la luce di qualcun altro.
chi ti conosce sa che preferisci prendere uno sberlone in faccia che mancare di rispetto agli altri. Anzi, da che ti conosco come mister, hai fatto proprio del rispetto per gli altri il tuo mantra: pensare a vincere, e fare di tutto per farlo, ma rispettando sempre l’avversario.
Io penso che a prescindere da tutto ci sia in alcune persone l’incapacità di confrontarsi con altri, usare le parole per sostenere quello che si pensa. E’ un limite, un limite grosso; e spisce più per la persona che per l’arbitro