NON SOLO CALCIO… GIAMPAOLO MAZZIERI

Ricapitolando le puntate precedenti abbiamo parlato di due numeri uno mondiali: Francesco Molinari, numero uno del golf italiano e tra i primi 10 del ranking mondiale e Michael Jordan, indiscusso numero uno del basket di tutti i tempi.
In questo terzo articolo della saga: “Non solo calcio…”, vogliamo rimanere nel mondo della pallacanestro ma localizzare il nostro personaggio “solo” nella nostra città (con qualche capatina nelle città limitrofe). Diciamo che a prima vista il nostro personaggio potrebbe sembrare più un protagonista delle “Storie maledette” di Remo Gandolfi, ma in realtà non è così (e per fortuna, altrimenti magari il sottoscritto non sarebbe neanche qui a scrivere questo articolo…).
Chi è dunque questo personaggio che da quanto si è capito finora era un giocatore di basket che si è reso famoso tra Parma, Reggio, Piacenza (e soprattutto in qualche derby contro le varie squadre di Salso, Borgotaro, Fidenza)? Il grande Giampaolo “Maffo” Mazzieri, nato nel 1950 che ha giocato nelle squadre più prestigiose di Parma e provincia (oltre che di Reggio) tra la fine degli anni 60 e la fine degli anni 80 (senza contare poi la lunga militanza amatoriale con gli amici del “Mangia e Bevi”, il cui nome lascia intendere che il terzo tempo non è stato inventato dal rugby…).

“La pallacanestro per me è stata una splendida maestra di vita”
All’anagrafe è Giampaolo Mazzieri classe 1950, ma nell’ambiente della pallacanestro è per tutti il “Maffo”.
“Questo soprannome non è solo dovuto ad una storpiatura del cognome ma anche dal fatto che già a tredici anni avevo un po’ di peluria sotto il naso. Quindi baffo, Maffo. In più nel 1976 mi sono sposato che avevo i baffi”.
Ma è anche conosciuto come il “Capitano” in virtù degli oltre trent’anni di basket giocati vestendo le maglie di tutte le principali squadre di Parma di quegli anni. “Il mio amore per la pallacanestro è sbocciato nel 1963 nel Cortile della Chiesa di San Leonardo. Iginio Daolio, un appassionato di basket, mise insieme un gruppo di ragazzi per formare una squadra di pallacanestro della San Leo. Giocavamo la domenica mattina all’aperto alle 11 rigorosamente dopo aver partecipato alla messa delle 9.30 (ed aver spalato la neve nei mesi più freddi…).”

Che cosa è per te la pallacanestro?
“Per me è stata una maestra di vita. Ogni sport dovrebbe esserlo per chi lo pratica, soprattutto se è uno sport di squadra. Mi ha permesso di stare bene fisicamente e psicologicamente nonché di crescere nella socializzazione. Gli allenatori che ho avuto agli inizi sono stati come dei secondi papà. Poi ho avuto la fortuna di trovare dei compagni meravigliosi. Le squadre in cui ho giocato sono sempre state molto unite pur nella diversità dei caratteri dei singoli. Tutto questo mi ha forgiato nel carattere e mi ha consentito di cementare dei legami di amicizia che durano ancora oggi. Pensandoci bene però, visto che sono davvero stato bene in tutte le squadre, oltre che essere stato fortunato posso pensare che un po’ di merito è anche mio… sono sempre stato un compagno paziente, disposto a dire sempre una parola positiva, bastava uno sguardo per far capire a tutti la strada da prendere… in partita e non. Sicuramente per i più giovani ero un esempio da seguire e questa responsabilità l’ho sempre accettata volentieri.
Il fatto che ancora oggi mi sento e mi vedo (spesso a tavola…) con tanti miei compagni (e avversari) penso sia la prova che questi legami erano veri”.

Il punto più alto della tua carriera è stata la serie B nel 1979-80 con la CBM. Non hai mai pensato di poter giocare in serie A?
“Quel campionato lo ricordo bene. Ero l’unico dilettante in una squadra con allenatore e giocatori professionisti. Loro facevano due allenamenti al giorno, io uno soltanto in quanto lavoravo ed ero diventato da poco padre. Nonostante questo partivo spesso nel quintetto. Ero considerato un giocatore abbastanza importante. Ho dimostrato che in quella categoria potevo starci. Quell’esperienza è stata comunque una specie di regalo. L’anno successivo la squadra venne ringiovanita ed io andai alla Fornaciari di Reggio Emilia”.
“L’anno in cui sarei potuto andare nelle giovanili in serie A fu quando avevo 16/17 anni, o nell’Oransoda Cantù o nella Fortitudo Bologna…
Ma i miei genitori non erano molto d’accordo (erano altri tempi…) e quindi sono rimasto nella mia città. Più di vent’anni dopo anch’io ho dovuto fare questa scelta da genitore per mio figlio che sarebbe potuto passare alle giovanili del Parma. A me sarebbe anche piaciuto ma ho lasciato a lui la decisione finale. Ricordo ancora che lasciammo l’esito della decisione ad una partita di tennis… se avessi vinto io potendo scegliere avrei gradito che mio figlio provasse questa esperienza nuova che io non avevo potuto fare, se avesse vinto lui invece avrebbe scelto di restare con gli amici nella squadra del quartiere (oltre che avere un abbonamento allo stadio per andare a vedere il Parma neo promosso in serie A…). Vinse lui e quindi niente avventura con le giovanili del Parma… (chissà se ha mai capito che io quella partita gliel’ho lasciata vincere….spero di sì visto che aveva 12 anni…). Alla fine, come per me da ragazzo, credo che quella sia stata la scelta più giusta per tutti”.

Partite da ricordare?
“Direi due. L’amichevole che nel 1969 giocammo con la Simmenthal Milano (squadra pluricampione di serie A oltre che tra le top in Europa). In quell’occasione giocai contro i vari Iellini, Masini e Riminucci. Poi nell’anno della CBM capitò che Recalcati si facesse male prima del derby con Cremona, molto sentito dallo sponsor. In quella gara ebbi ampio spazio e disputai la miglior gara della mia carriera”.
P.S. se qualcuno dei lettori non conosce Recalcati (per gli amici “Charlie”) può andare ad informarsi su Google…
“Poi non vanno dimenticati gli accaniti derby con Fulgor Fidenza, Valtarese e Salso. Agli inizi a Borgotaro e a Salso si giocava all’aperto e d’inverno capitava anche di dover spalare la neve. Mi ricordo in particolare di una gara vinta col Rapid a Borgotaro dopo la quale venimmo scortati dai carabinieri fino ad Ostia Parmense… i derby di montagna erano sempre tosti, giocare in casa loro li faceva sentire ancora più forti, e spesso usavano dei “trucchetti” che oggi giorno con la TV non si possono più usare… non che noi “cittadini” fossimo così sprovveduti però…”

Ti è dispiaciuto che i tuoi due figli non abbiano seguito le tue orme nel basket?
“Assolutamente no. Ho sempre lasciato loro seguire la strada che volevano, anche se ho cercato di fare in modo che almeno uno sport lo praticassero, perché lo sport è una scuola di vita e come dicevo prima se è uno sport di squadra si impara ancora di più. Occorre seguire delle regole, avere rispetto per i compagni, avere atteggiamenti positivi che gli altri possano seguire… Entrambi si sono dedicati più al calcio e quindi va bene così… anche se spesso mi hanno sentito dire che il “calcio è uno sport per signorine” (soprattutto quello moderno…), sempre in terra a fare scenate per un calcetto… ma un po’ li prendo in giro… e questo ormai l’hanno imparato…
A questo proposito vi faccio vedere una t-shirt che mi hanno regalato per un compleanno…”

Questo il ritratto del “Maffo”, giocatore di indubbia personalità…
Spero che i lettori del MISTERONE abbiano apprezzato questo articolo, anche se un po’ strano per il suo genere… ma sono storie di “vita vissuta” e quindi credo possano sempre essere di insegnamento per tutti, soprattutto per i più giovani”.
Grazie di tutto Papà, sei il mio numero uno!!!
P.S. Un ringraziamento anche a Stefano Minato, giornalista della Gazzetta di Parma