Il calcio – Tenere accesa la passione

Non penso di esagerare nel dire che il calcio sia stato e sia, per tantissime persone, una enorme fetta della propria vita; una passione che entra nella tua vita quando sei bambino, che si trasforma in un cofanetto pieno di sogni, in ricordi indelebili ed intoccabili, in una “bellissima fidanzata” che ti può portare fino alla pazzia o addirittura in un bravo medico che può salvarti da tante cose brutte.

I miei 29 anni di vita sono stati e sono tuttora scanditi da un ritmo dolce, anche se faticoso, che il mio amato calcio mi ha imposto e mi impone con prepotenza; in passato da giocatore poi da allenatore di ragazzi.
Oltre alle emozioni e ai ricordi indelebili dal 1997 ad oggi, questo sport, purtroppo ormai banalizzato al massimo, è stato capace di portarmi amicizie e conoscenze bellissime : tante persone e tanti ragazzi con cui oggi ho splendidi rapporti, sono state accanto a me nelle infinite ore passate dentro al campo.



Inoltre, ho acquisito valori importantissimi da giocatore e una maturazione molto veloce da quando alla giovane età di 20 anni ho cominciato a dovere gestire bambini di persone che me li affidavano con iniziale scetticismo.
Tutto ciò che ho appena spiegato è sintetizzabile in quella adrenalina (anche minima… ma l’importante è che ci sia!!!) che abbiamo non appena vediamo un pallone, le nostre scarpette con i tacchetti, o, ancora meglio, quando calchiamo l’erba verde di quel campo che da bambini ci sembrava infinito.
L’altro giorno riflettevo tra me e me, come spesso accade, sull’attualità di questo sport e dei nostri ragazzi: una frase spesso ricorrente nei discorsi da bar o nelle tribune è “ai nostri tempi si giocava in strada fino a sera, finchè la mamma non chiamava”.
Tutto verissimo, per carità. Questo si sa. Ma non me la sento di fare il solito quadro drammatico e banalizzante dei nostri ragazzi.
Sarebbe sbagliato e ingiusto scrivere “ai ragazzi di oggi non frega niente di venire a calcio, tanto hanno il cellulare”…altra frase ricorrente! Conosco ancora tanti ragazzi che vedono il calcio con quella scintilla con cui l’abbiamo visto e vissuto noi adulti, ragazzi capaci di sognare, ragazzi capaci di sputare l’anima per quel sogno.
Piuttosto, penso che la mente dei nostri futuri uomini sia proiettata su un’infinità di binari contemporaneamente, che li porta a non provare in nessun modo quel senso di esclusività e di puro gusto per qualcosa. Le sensazioni sono tutte uguali, potremmo con coraggio quasi definirli “insoddisfatti cronici”.

Si capisce senza troppa difficoltà che l’adulto che sceglie di prendere in mano una squadra di ragazzi, si lancia a peso morto in una sfida molto,molto complicata.
Di conseguenza, tornando al nostro calcio, in mezzo ad un labirinto di insoddisfazione e apatia generale, non è facile trovare la porta per le motivazioni giuste anche nello sport.
La domande che mi sorgono spontanee, sono le seguenti: sono capace io adulto, quello che giocava tutto il giorno in strada, di adattarmi a questo modo di vivere dei nostri ragazzi? Sono capace di riuscire a costruire qualcosa in loro e con loro? Sono capace di creare entusiasmo senza spesso trovare spirito di sacrificio? Sono capace di donare la mia più grossa fetta di vita anche a chi la maggior parte delle volte non riuscirà ad apprezzarne nemmeno il 5%? Sono poi capace di tutto questo dopo le fatiche quotidiane del lavoro?

Ma soprattutto…SONO FORTE ABBASTANZA PER VINCERE LA MIA SFIDA???
Questa domanda, così facile all’apparenza, dovrebbe invece suggerire spunti importanti.
Ogni allenatore dovrebbe essere onesto con se stesso: e ATTENZIONE, non stiamo parlando di condurre a termine 1,2,10,20 stagioni.
Stiamo parlando di condurre 1,2,10,20 stagioni vivendole con quella luce che accecava quando eravamo bambini, con quel batticuore della domenica mattina prestadio, con i ritrovi con gli amici in oratorio, con le serate davanti alla televisione…insomma…vivendole mettendoci dentro TUTTA LA NOSTRA VITA e trascinando nel famoso vortice i nostri ragazzi.
