Calcio e dimissioni: quando si rompe qualcosa

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L’ultima giornata di Serie A si è resa famosa per averci fatto tornare indietro nel tempo.

Esattamente un anno fa, l’Italia intera subiva forse la più cocente delusione della propria storia calcistica: dopo uno 0-0 a San Siro contro la Svezia, la nostra nazionale non approda ai campionati del Mondo.

Il paese intero iniziò subito dal post partita a massacrare l’allenatore Ventura e chiunque contava le ore in attesa delle sue, scontate, dimissioni.

Ventura le dimissioni però non le diede mai, accollandosi etichette di ogni tipo quali, ad esempio, quella di uomo senza dignità.

Ieri pomeriggio, “con un anno di ritardo” scrivono i giornali, dopo un pareggio per 2-2 della sua attuale squadra (Chievo) contro il Bologna, un po’ a sorpresa il famoso allenatore rassegna le dimissioni.

Quello che interessa a noi discutere non è tanto se le dimissioni sono giuste o sbagliate, quanto aprire un confronto su cosa possa spingere un allenatore a lasciare la barca in corsa.

Ci sono momenti in cui le cose proprio non vanno, in cui tutti da fuori hanno ricette e bacchetta magica per salvare il mondo e tu, allenatore, provi ogni giorno a ripartire cercando di concentrarti solo sul tuo lavoro.

Ma non è facile.  Il calcio è sicuramente l’ambiente che dà più spazio ai milioni di professori che abbiamo in Italia. Come dico sempre ai miei allievi, tutti quelli a bordo campo hanno vinto 10 campionati nella loro vita, tutti sono stati mancati professionisti per un pelo, tutti sono stati grandi allenatori. E tutti questi si divertono, appunto, a “sbranarti” e puntarti il dito contro.

Accade in Serie A, accade nei Giovanissimi, accade nei pulcini.

Non si può non ammettere che la gestione di questi momenti non è mai facile: dal più timido e insicuro al più carismatico,  convivere con la mancanza di risultati e il contesto attorno è comunque motivo di rabbia o pensiero.

In quel momento, cosa può fare un allenatore? Che piste si aprono?

Sicuramente è necessario, a prescindere dal momento felice o infelice, disporre di una capacità di autocritica e autoanalisi.

Le domande che un mister deve porsi quotidianamente sono tante, ma quando le cose non vanno mi permetto di sintetizzarle in tre punti principali.

La prima domanda che deve porsi è sicuramente se il gruppo di giocatori è in grado di seguirlo.  Si, vado avanti mettendo una campana tra me e la squadra è ciò che c’è intorno.  Oppure No, il gruppo non mi segue e non mi ha mai seguito. Forse è ora di lasciare spazio ad un altro. Non ci sono soluzioni.

Il secondo fattore da valutare è quello della capacità di reggere la pressione esterna: l’entusiasmo per un allenatore è tutto, posso essere in grado di andare avanti con le mie bellissime idee di fronte a tanta gente che vorrebbe la mia testa? Si, sono in grado di isolarmi. Oppure No, forse sta diventando uno stress enorme e non riesco a vivere  più di tanto in ansia o male.

Un terzo fattore, tralasciando quello economico che nel calcio giovanile non esiste, potrebbe essere quello di troppo amore che mi spinge a capire che un’altra persona potrebbe valorizzare molto di più quei ragazzi cui tanto sono legato e il nome della società che per me ha fatto tanto in passato.

E a voi? Sono mai capitate situazioni di questo tipo? Vi siete mai trovati in mezzo al dubbio di voler/dover lasciare?

La foto è sfocata e di qualche anno fa ma per ogni momento in cui qualunque mister pensa di lasciare ce ne sono mille che ti convincono a continuare…o mi sbaglio?

Gruppo meraviglioso…torneo a Monaco esaltante…si è vero, ci sono tanti motivi per lasciare e farsi i fatti propri ma i sacrifici e il lavoro prima o poi vengono sempre ripagati…vamoooossss

 

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